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UN CORDIALE BENVENUTO NEL SALOTTO VIRTUALE DEI CULTORI DELL'ICONOFILIA, LO STUDIO ED IL COLLEZIONISMO DEI SANTINI E DELLE ANTICHE IMMAGINI DEVOZIONALI





giovedì 13 ottobre 2011

Iconofilia e Culto Mariano: la Madonna dello schiavo di Carloforte nell'Isola di San Pietro, in Sardegna tra storia e devozione popolare



Viaggiando in Sardegna mi sono fermato in Carloforte ed ho visitato la Chiesa nella quale viene venerata la Patrona di quella città.
Mi era stato detto che soggiornando da quelle parti era cosa meritoria far visita alla Madonna nera la cui devozione supera i confini del paese e dell'Isola, estendendosi alla città di Pegli in Liguria.

Ho visitato la Chiesa ed incuriosito ho cercato di documentarmi, interrogando pure anziani del luogo disposti a raccontarmi quanto sapevano.

Riferirono, con precisione di date e nomi, che tutto ha avuto inizio nella mattina tra il 2 e 3 settembre 1798, quando un'incursione armata di vascelli tunisini conquistò l'Isola di San Pietro.

I barbari, dopo aver depredato le modeste abitazioni e saccheggiato il posto, alzarono le vele deportando 823 abitanti di Carloforte ed imprigionandoli in Tunisi.

Tra questi vi era il giovane Nicola Moretto ed il pretino - cosi' chiamato perchè da poco ordinato sacerdote - don Nicolò Segni.

Quest'ultimo, di sua volontà, volle seguire i parrocchiani fatti schiavi.

Il Moretto ed il Segni durante la prigionia sostennero con abnegazione i concittadini assistendoli nelle avversità giornaliere, dovute sia alle disagevoli condizioni di vita sia ai maltrattamenti dei musulmani che avversavano la fede Cristiana.

I due giovani erano di aiuto a tutti assistendo anche gli infermi tunisini e, di nascosto, il prete officiava messa aiutato dall'altro elevando al cielo preghiere per ottenere aiuto.

Il 15 novembre 1800 Moretto trovavasi a circa 60 km da Tunisi e precisamente nei pressi del villaggio Nabeul ove, sulla spiaggia di questa deserta località, rinvenne un legno lavorato sul quale "vide" l'immagine della Madonna.

 Nel fare ritorno a Tunisi riusci' a portare con sè e con fatica il legno consegnandolo al prete e narrandogli l'accaduto.
Una sera si riunirono tutti i prigionieri, esaminarono il legno inciso ed all'unisono asserirono essere quella l'immagine della loro ideale Madonna che tanto pregavano.

Decisero di trovare un posto nascosto ad occhi indiscreti ove conservare il reperto.

Intanto causa i disagi, le privazioni ed i maltrattamenti, vi erano molti debilitati con febbre che morivano, ma in nessuno venne meno la fede tanto che nel 1803 ottennero la grazia.

Le autorità tunisine, anche per l'interessamento di vari capi di Stato e del Pontefice, liberarono gli schiavi consentendo il ritorno a casa.

Portarono con loro il miracoloso simulacro che denominarono LA MADONNA NERA.

Dopo il rientro, la narrazione degli accadimenti ed il fervore degli ex schiavi, spinse il popolo ad erigere una Chiesa per dare degno collocamento al manufatto e, terminata la costruzione, venne chiamata la chiesetta della MADONNA  dello  SCHIAVO.

Col passare degli anni la fede non si affievoli', la Chiesa venne abbellita con l'aggiunta di una campana, e, nel 1870, fu anche acquistato un organo ancora oggi esistente e funzionante.

Nel 1988 in occasione del 250° anniversario della nascita di Carloforte sono stati portati da Tabarca i resti mortali di un ignoto schiavo a rappresentare i 117 prigionieri carlofortini là deceduti successivamente tumulati sul lato sinistro della Chiesa, erigendo anche una lapide a ricordo degli accadimenti.

Tabarca, città della Tunisia, nel 1540 viene data in concessione alla famiglia genovese dei Lomellini i quali erano interessati alla raccolta del corallo e la colonizzarono con un gruppo di abitanti di Pegli.

 Nel 1738 causa l'esaurimento dei banchi corallini ed il deterioramento dei rapporti con gli arabi, i coloni si trasferirono in massa nell'isola di S. Pietro ove fondarono la città di Carloforte (forte di Re Carlo), cosi' chiamata in onore del re di Sardegna Carlo Emanuele III.

I rapporti divennero con gli anni sempre più tesi tanto che il bay di Tunisi Hammuda Ibn Ali' per rappresaglia invase Carloforte apportandovi distruzione e facendo prigionieri 823 abitanti validi, riducendoli a schiavi.


Il racconto, a più voci, ha evidenziato che molto sentita è nella gente del posto la devozione a questa Madonna.

 I vecchi, con trasporto e senza enfasi illustrano quanto sanno, dicendo pure che l'immagine altro non è che una polena ricavata da un tronco di tiglio, ma per tutti è la Madonna che ha aiutato i loro concittadini.

Non ho potuto approfondire l'esame del simulacro anche se, durante la visita, venne vicino un'anziana signora che mi aggiornò sui fatti e disse della cura che ha nel sostituire sull'altare i fiori appassiti e ad ogni visitatore forestiero fa omaggio di una Immaginetta che ella compra a sue spese in tipografia.

Ho desunto avere il legno, nel tempo, subito manipolazioni e restauri, forse migliorativi, non apparendo più il viso della Madonna di colore nero.
Da un'attenta osservazione si riscontra infatti una non omogeneità di tinta che lascia trapelare l'originario colore naturale del legno di tiglio, verosimilmente scuritosi nel tempo a causa dell'ossidazione dei pigmenti del colore utilizzato in prima mano, successivamente alla lunga e protratta esposizione al fumo delle candele votive.

La fede è forte ed esula tuttavia dalle supposizioni fatte per le altre statue di Madonne nere, con riferimento alla loro diffusione avvenuta al tempo delle crociate, quando i soldati portavano a casa icone orientali.

La statua della Madonna dello schiavo di Carloforte esula dalle altre icone di Madonne dal volto scuro che successivamente dettero l'avvio alla politica di diffusione promossa della religione cattolica,  protesa al culto e alla trasformazione in senso Cristiano di riti e credenze di culture di popoli lontani.

Non è culto inserito in tradizioni proprie di gruppi sociali  a caratterizzante valenza folcloristica, legato a credenze popolari che nel tempo si sono sviluppate e, non è neppure sovrapposizione a culti pseudo-pagani riservati a divinità femminili o legati a racconti e leggende tramandate dalla tradizione orale o documentale.

La polena contraddistigue luoghi ed avvenimenti storicamente e documentalmente accaduti; la fede e la devozione si sono radicati nel tempo nell'animo di uomini che tanto hanno sofferto in una comunità devastata dagli arabi.

Il manufatto portato dai marosi ad arenarsi sulla spiaggia, il successivo ritrovamento da parte di un giovane particolarmente sensibile; il racconto condiviso con altri, come lui costretti a vivere in luogo ostile, ha prodotto sensazione straordinaria divenuta subito corrente di fede autentica e profonda.

La MADRE di tutti, anche degli arabi aguzzini.

che continua, da oltre due secoli, ad ascoltare le preghiere dei suoi figli che in lei hanno fiducia e che da lei attendono grazie.

Da qualche anno è più sentita in Pegli la fede che, fuori dal significato strettamente religioso, sta diventando simbolo di lbertà e di forte unione solidale della comunità.


Nella modesta chiesa si radunano i fedeli e li' si celebrano matrimoni e riti a coronamento di particolari promesse.

Tanti ricordano anche gli aiuti avuti durante l'altro triste periodo dei bombardamenti della seconda guerra mondiale.

Resta quindi attuale per loro la datata preghiera : 

 "Madonna bella, fin che conforto avrem nel lume degli occhi tuoi, sicuri e sani arriveremo in porto.
Prega per noi."


Antonio D'Errico Ramirez

lunedì 3 ottobre 2011

La saliente importanza dell'integrità delle Immagini devote ospitate nelle Collezioni


SANTA CHIARA

Incisione a bulino su rame su carta vergellata.

Artista-Disegnatore: Luigi Agricola
Artista-Incisore: Pietro Fontana
Stampatore: Agapito Franzetti a Roma -Torsanguigna

Italia, fine secolo XVIII-primi inizi sec.XIX

Collezione privata Galanzi


Similmente all'Archeologia, meravigliosa Materia da me con autentico Amore studiata, anche l'Iconografia Sacra, palesata nelle antiche Immagini devote, necessita poter fornire allo Studioso ed al Cultore il maggior numero di elementi informativi circa le sue origini e molti altri elementi ad esse inerenti e di per sé assolutamente caratterizzanti; dell'Immagine in primis e, contemporaneamente, della stessa Devozione popolare, al cui contesto storico-culturale essa è ascrivibile.
Al di là, infatti, di elementi immediatamente apprezzabili, quali, ad esempio, la materia su cui la Sacra Immagine è stampata -carta, pergamena, seta, lino etc.- al fine di poter con attendibilità scientifica collocare il pezzo preso in esame in un contesto cronologico- e dunque, contestualmente storico-culturale- reale ed effettivamente probante, fondamentale sarà a tal uopo l'osservazione attenta di altri elementi d'informazione che la nostra Immagine sarà in grado di fornirci dopo il lungo suo iter devozionale attraverso i secoli, gli angoli del Mondo visitati e, talvolta e non di rado, i pii detentori che, tenendola stretta tra le mani, con essa hanno pregato.

Quali sono, dunque, queste importanti fonti di informazione con le quali lo Studioso ed il Cultore debbono rapportarsi ?
 
Ho citato per prima LA MATERIA.

Il primo elemento che possa infatti identificare, e rendere così classificabile la nostra Immagine devota è proprio il supporto materiale sul quale l'immagine nasce.
 
Similmente all'attendibilità informativa proveniente in Archeologia dal basilare concetto di STRATIFICAZIONE di un terreno oggetto di investigazione e sede di scavo, la struttura intima della carta alla base della nostra Immagine sarà in grado di fornirci risposta all'immediata nostra esigenza di collocarla temporalmente.

Dalla originaria, straordinaria carta ricavata dalla macerazione di cenci in fibra di lino e canapa sin dal secolo XIII prodotta ed ovunque esportata in Europa dall'operosa Fabriano, nelle Marche, mantenuta tale tecnica viva ed assai redditizia dagli stessi celebri Stampatori Remondini di Bassano del Grappa fino all'ultimo ventennio del secolo XVIII, giungiamo, alla fine del secolo suddetto, con l'inaugurazione dell'Era Industriale in Europa, all'abbandono graduale e definitivo di tale tecnica, che cede il posto alla ben più rapida ed economica procedura che contemplava per la prima volta l'utilizzo di pasta di legno ossia delle fibre vegetali provenienti dagli alberi, presenti abbondanti in natura.
 
Il non adeguamento al passo, con i tempi ormai mutati e, di conseguenza, le mutate e ben più esigenti richieste del mercato internazionale, furono motivo non secondario di chiusura e definitiva scomparsa di Stamperie di chiara fama e di lunga tradizione, tra cui, duole ricordarlo, la stessa Ditta Remondini, che chiuse definitivamente i battenti delle sue premiate officine, come ben ricorderanno gli Amici Cultori, nell'anno 1861.
Dunque, LA CARTA , come ben noto ai Collezionisti di Immagini devote, ci fornirà per prima un elemento fondamentale di identità dell'Immagine: la sua vera ETA'.

La presa in considerazione di tale primario elemento potrà contestualmente fornire in modo inequivocabile al Cultore il metro scientifico per chiaramente distinguere una Sacra Immagine incisa all'acquaforte dal grande Genio di Lorena Jacques Callot (Nancy, 1592 – Nancy, 1635) originale del secolo XVII da una ristampa postuma del secolo XVIII e, ancor più, da una volgare riproduzione contemporanea.

Altro dettaglio essenziale, al fine di un corretto completamento della "carta d'identità" della nostra Immagine , sarà poi rappresentato dalla presenza all'interno dell'area dell'incisione sul rame della firma dell'Artista-Incisore cui l'immagine è attribuita.

A tal proposito, è importante sottolineare l'assenza, pressochè costante, di tale inconfutabile elemento di attribuzione della paternità dell'incisione sul rame originario- in quasi tutte, o comunque nella grande maggioranza tra esse- delle ormai sempre più rare e ricercate incisioni Fiamminghe, stampate su carta o sulla più nobile pergamena.

La motivazione a tale oggettiva constatazione è da ricercarsi nell'uso consueto, consolidatosi sin dal secolo XVI presso le Stamperie Anversane dapprima, e, nei successivi secoli XVIII e XIX, nelle filiali delle stesse aperte dai titolari nelle celebri Vie degli Artisti- Rue Saint Jacques a Parigi, per citarne una-nei pressi dei Salotti culturali assai in voga nella Francia Romantica, di ri-utilizzare vecchi rami incisi in epoca antecedente, abilmente cancellandone dalla lastra l'originaria paternità, ed apponendovi, extra-bordo- generalmente sul margine inferiore destro della stampa- arbitrariamente il proprio nome.

Altro elemento fondamentale nella nostra ricerca dovrà altresì essere il nome dell'Artista Autore dell'originario disegno o dipinto da cui l'incisione sul rame trae origine ed ispirazione: tale nome è da ricercarsi inferiormente, al margine sx dell'Immagine; la formula ricorrente per indicare la Paternità dell'Opera originaria è espressa con il termine Latino INV (invenit o inventor), più raramente PINX (pinxit, ovvero DIPINSE) o DELIN (delineavit, cioè DISEGNO').

Alla luce di quanto sin qui esposto appare evidente l'importanza imprescindibile di un perfetto stato di conservazione della nostra Immagine devota.
Al di là, infatti, del -a tutti i Collezionisti noto- immediato deprezzamento di quotazione in ambito del Mercato Antiquario cartaceo internazionale e, volontariamente lungi, dunque, da un'ottica meramente di lucro che esula da fini di studio puramente culturali , di ricerca e tutela di questi preziosissimi Testimoni silenti dell'antica Devozione popolare, si ribadisce in questa sede, essenzialmente per una corretta classificazione del pezzo, l'enorme importanza della presenza di tutti gli elementi descrittivo-informativi fin qui citati.

Il verso
di una devota Immagine rappresenta, in finale, l'elemento biografico della stessa.
Brevi annotazioni autografe espresse con elegante grafia dei secoli passati, talvolta nomi e toccanti, deliziosi Pensieri testimoni della fugacità del Tempo e della Vita, Ricordi preziosi ad imperitura, affettuosa memoria di chi ha partecipato, seppur in punta di piedi, delicatamente, a scrivere l'antica e commuovente Storia della Devozione popolare.
Paola Galanzi