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UN CORDIALE BENVENUTO NEL SALOTTO VIRTUALE DEI CULTORI DELL'ICONOFILIA, LO STUDIO ED IL COLLEZIONISMO DEI SANTINI E DELLE ANTICHE IMMAGINI DEVOZIONALI





martedì 22 gennaio 2013

ICONOFILIA E CULTURA: un Santino a metà e la bella e triste storia di Martino, neonato esposto sulla rota nella Venezia di fine 1800

 
L'Angelo Custode
 
Il Santino a metà lasciato a Martino dalla sua Mamma al momento dell'affidamento allo Spedale della Pietà di Venezia.
La metà mancante cela il segreto ancora irrisolto dell'identità della Mamma:
chi può aiutare Diego a ritrovarla ? 
 
 
E' una storia triste ma bellissima quella che vi stò per raccontare: una storia apparentemente come tante, raccontateci dalla Storia vera e dai Romanzi, con protagonisti bimbi appena nati o comunque piccolissimi e indifesi come pulcini che, ancora profumati di latte materno, venivano anticamente nel nostro Paese abbandonati dalle loro mamme.
 
Questa penosa e sofferta pratica fu assai diffusa in tutte le Regioni della nostra Italia ed incredibilmente rivela come, dalla tristemente nota expositio (l'esposizione) della Roma Imperiale di oltre due millenni fà, si sia protratta ininterrottamente da allora senza soluzione di continuità temporale.
 
La Storia di Roma, e dunque lato sensu la Storia d'Italia, inizia proprio da un abbandono: Romolo e Remo, i gemelli neonati figli di Rea Silvia e del Dio Marte furono, secondo quanto riportato da Tito Livio nel suo De Urbe condita, abbandonati in una cesta e da lì affidati alla pubblica Pìetas.
 
Le nostre ricerche partono, imprescindibilmente, ab ovo, ossia dall'Istituto provinciale dell'Infanzia SANTA MARIA DELLA PIETA' di Venezia, l'Orfanatrofio dove Martino per l'ultima volta vide lo sguardo dolce della sua Mamma e ne respirò, rassicurato, tra le sue braccia, il profumo.
 
Inaugurato nell'anno 1346, l'Istituto della Pietà arrivò ad ospitare dopo poco più di un secolo, nel 1448, ben 4300 bambini.
I bambini, per lo più neonati, come Martino, venivano lasciati scivolare nella scafetta (sostituita dal Governo Francese con la più famosa ruota o rota nel 1807)- una piccola nicchia atta ad accogliere, proprio per le esigue dimensioni, solo neonati o comunque bimbi piccolissimi- che, nascosta di giorno da una finestra, veniva lasciata aperta nelle ore notturne.
 
 
L'angolo su cui sorgeva la "Ruota degli esposti" per abbandonare i bambini, sul fianco della Chiesa-Orfanatrofio della Pietà di Venezia.
La lapide, citando una bolla papale di Paolo III del 12 novembre 1548, dichiara che "Dio infligge maledizioni e scomuniche a quelli che, avendo i mezzi economici per allevare un figlio, lo abbandonino, e che essi non possono essere assolti senza avere prima rimborsato tutte le spese di allevamento".
Foto di Giovanni Dall'Orto, 12 agosto 2007
 
 
La mamma prima di andar via e dopo aver dato un ultimo bacio alla sua creatura, tirava la corda di una campanella permettendo così alle Suorine addette alla portineria dell'Istituto di recuperare prontamente il bambino e prestargli le prime cure.
 
 
La vita all'Orfanatrofio di Santa Maria della Pietà di Venezia
 
Nell’Istituto venivano accolti figli illegittimi, bambini nati da famiglie molto povere o da madri incapaci di allattare e lo stesso veniva governato da un medico direttore.
Alle Suore di Carità, invece, veniva affidata la cura morale ed economica delle balie, dieci in tutto, mantenute e stipendiate dall’Istituto.
All’infante abbandonato si apponeva un segnale numerato al collo per distinguerlo, lo si spogliava degli indumenti, che venivano così registrati in un apposito libro dove si segnavano anche i dettagli dell’abbandono.
Inizialmente, veniva dato un cognome strano e spesso umiliante che venne sostituito a fine Ottocento con un cognome più ragionevole ed onesto.
Particolare usanza era quella, da parte delle madri, di lasciare al neonato abbandonato la metà di un oggetto. Le madri ne conservavano l’altra parte come prova di ”appartenenza” nella speranza di un ricongiungimento.
L’archivio storico della Pietà possiede quindi una vasta raccolta di segnali di riconoscimento che, nel concreto, sono carte da gioco, monete, medagliette religiose, crocefissi, Santini o semplici pezzi di carta dalla forma particolare.
Talvolta, si incontrano anche orecchini, monili di varia foggia, oggetti di legno intagliati e poi divisi a metà.
Nel Registro scaffetta, in seguito Registro ruota, venivano registrati anche questi particolari:

Adì 15 detto a hore 14 circa Prudencia nascente con fasse due polana rossa con due romanete dargento falso fiocheto con merleto scufia con merlo e canora merlo vechio agnus deo con cordelina latesina

 Il segnale veniva poi accompagnato da un pezzo di carta recante poche righe in cui si motivava l’abbandono, pregando l’Istituto di prendersi cura del fantolino o semplicemente si indicava il nome di battesimo.
Nel caso dei ricongiungimenti, che oltre al segnale di riconoscimento avevano una procedura notarile ben più seria ed articolata, non sempre la madre arrivava in tempo: poteva infatti accadere che il bambino fosse già morto, data l’altissima mortalità infantile dell’epoca.

La Pietà era governata da benemeriti cittadini veneziani, ma alla conduzione dell’istituto partecipavano le Figlie di Comun che lavoravano di seta, filatura, cucitura e badavano alla pulizia e alla cucina.
Ruolo più significativo avevano le Figlie di Choro che suonavano e cantavano sotto la direzione di celebri maestri, primo tra i quali, a cavallo tra il secolo XVII ed il XVIII, Antonio Vivaldi, che visse e lavorò presso l'Istituto per oltre quaranta anni.
I maschi, invece, erano istruiti nei vari mestieri dell’artigianato e diventavano tagliapietre, tessitori, calzolai e arsenalotti.
Le cronache custodite negli Archivi del suddetto Istituto riferiscono di una situazione particolarmente critica nella prima metà del 1400, con un alto tasso di mortalità tra i bimbi ospitati a causa principalmente di gravi malattie.
 
 
 
 
Il Doge Francesco Foscari Bastiani prescrisse nello stesso periodo ai Notai l'obbligo di ricordare a chiunque facesse testamento i bimbi orfani dell'Istituto Santa Maria della Pietà, affinchè venissero disposti- a propria coscienza- dei lasciti in loro favore e lo stesso Pontefice, Papa Eugenio IV, concesse indulgenze a chi avesse fatto atti di carità a favore dei piccoli orfani dell'Istituto. 
 
Lo stesso Doge stabilì e stanziò dei premi in denaro a tutte le famiglie contadine di buona volontà che si fossero assunte l'impegno, sotto il controllo del Parroco del paese, di allevare i bambini nella più salubre aria della campagna, onde preservarli dalle terribili epidemie che scoppiavano frequenti all'interno dell'Orfanatrofio.
 
Fino all'anno1899 protetta dall'anonimato più assoluto e totale e infine, a partire da questa data, regolamentata con l'entrata in vigore dell'obbligo di fornire le generalità e dei segnali da parte della madre al momento dell'affidamento, tale diffusa pratica permise a giovani madri con seri impedimenti, pur nel sacrificio enorme e sofferto della separazione, di sperare in un futuro e in una vita migliore per il proprio bambino.
 
La miseria, spesso la malattia, e le conseguenti, insormontabili difficoltà ad allevare e crescere dignitosamente queste creature, o magari la vergogna perchè frutti di relazioni ritenute illecite o libertine e perciò fonti potenziali di scandalo e di dubbia reputazione per le genitrici, furono le cause principali di questi abbandoni, ma non le uniche.
 
Si è parlato prima di segnali che quasi sempre venivano lasciati dalle madri alla Suora responsabile al momento dell'affido del bambino e tra questi c'erano spesso anche dei Santini, ed è proprio il caso legato a Martino, alla cui Mamma fu lasciata la metà mancante del Santino che potete vedere a corredo di questo articolo.
 
Proprio questo bellissimo Santino che l'amico Diego, fiero pronipote di Martino, il Nonno Martìn, mi ha mandato in scansione, apre chiari spiragli ad ipotesi che ci permettono di esulare dalle cause più note e ricorrenti a monte di tale antichissima pratica, e a ragionevolmente formularne di nuove.
 
Il Santino, celebrante - e non casualmente- la Figura Protettrice dell'Angelo Custode, Cristianamente inteso quale Guida Celeste ed aiuto nelle difficoltà della Vita, fu il Sigillo d'Amore ed il segno-o segnale, appunto- con il quale la Mamma di Martino, in un imprecisato giorno di fine secolo XIX, affidò, con il Cuore di Mamma spezzato dal dolore più grande, il piccolo fagottino di fasce che lo conteneva, senz'altro- e questo il Santino lo attesta- con la viva Speranza di poterlo un giorno riabbracciare.
 
Di fattura pregevole e assai curata nella bella acquarellatura a mano dai brillanti colori, il Santino donato al piccolo Martino dalla sua Mamma è una bella siderografia- incisione su lastra d'acciaio-che così tanto ricorda, nei tratti delicati e romantici, il Santino stampato con lo stesso soggetto dalla Maison Basset a Parigi nella prima metà del secolo XIX, appena cinquanta anni prima della nascita di Martino.
 
 
Collezione privata Galanzi
 
Facendo un semplice calcolo, a ritroso nel Tempo, ipotizzando di 25 anni l'età della Mamma di Martino al momento della sua nascita, si potrebbe pensare ad un Santino originariamente donato alla Mamma di Martino dalla sua mamma (e dunque nonna di Martino) contemporanea alla pubblicazione e messa in commercio del Santino (prima metà del 1800).
 
L'unico dato certo su di esso-totalmente privo di riferimenti all'Editore- è un numero, manoscritto ad inchiostro in elegante grafia: 238 su 273; forse la collocazione all'interno di un Catalogo di vendita che contava una serie di 273 Santini, ordinatamente numerati per soggetto dal numero 1 al 273 ? Tecnicamente, questa è un'ipotesi attendibile.
E dunque, se accettiamo questa ipotesi potremmo pensare che il Santino facesse probabilmente parte del campionario di un Editore-Tipografo, forse Italiano, rivenditore di Stampe fini prodotte in Francia.
 
In Italia settentrionale, ed in particolar modo a Torino, lavorarono in tal senso, acquisendo le matrici Francesi in acciaio originali della Maison Basset (attiva a Parigi fino all'anno 1865), la Litografia Doyen (nel 1850 ca.) e lo Stampatore Leonardi con sede in Via Po al civico 47.
 
Nel Veneto, e a Venezia in particolare, vediamo attiva fino al 1860 la celebre Casa Remondini di Bassano del Grappa presente nella Città sin dal 1750 con un'importante Libreria che diffondeva Testi a carattere Sacro commissionati dagli Enti ecclesiastici oltre ad Atlanti geografici splendidamente rilegati, pur tuttavia con una produzione di Santini ed Immagini devozionali ormai in caduta libera e decisamente non più al passo con i tempi e, soprattutto, non più concorrenziale all'agguerrita e folta schiera di Editori Francesi.
 
Sempre in Venezia è doveroso ricordare, assai attiva e rinomata in quel periodo, la Stamperia di Antonio Zatta (1722-1804) ormai in mano agli Eredi che ne continuarono la celebre produzione di opere lussuosamente illustrate e pregevoli Testi Sacri elegantemente rilegati nonchè bellissime Immagini devozionali-principalmente però in bianco e nero- incisioni a bulino su rame firmate dai più illustri Artisti-Incisori Veneti.
 
I brillanti colori e lo stile parimenti aprono un'ulteriore ipotesi di paternità del Santino alla bella produzione del grande Incisore e Stampatore dell'Alsazia Jean Frédéric Wentzel (1807-1869).
 
Tuttavia, se ci atteniamo alla situazione prettamente Storica di Venezia nel travagliato periodo che va dalla fine del 1700 alla prima metà del 1800, segnato dall'invasione delle truppe Francesi e appena un anno dopo di quelle Austriache fino alle lotte Risorgimentali che portarono nel 1848 alla liberazione dei Patrioti Daniele Manin e Nicolò Tomaseo, non ci verrà difficile, in assenza totale per il momento di altri e più fondati elementi, pensare ad una probabile origine forse anche Francese del nostro Martino.
 
La qualità pregevole del Santino, di certo non appartenente alla tipologia all'epoca diffusa tra le classi più povere, e la sua altamente probabile origine e provenienza Francese, ci fanno senza difficoltà pensare alla sua Mamma come una giovane Dama dell'Alta Borghesia- o forse anche della Nobiltà- magari figlia di un Generale dell'Esercito Francese stanziato a Venezia con la sua Famiglia ed il piccolo Martino frutto di un amore ostacolato. Chissa'.....
 
Al di là dalle interpretazioni prettamente tecniche formulate, se confortata da altra documentazione più consistente, la numerazione manoscritta in alto al recto del Santino potrebbe altresì rappresentare il numero assegnato dall'Impiegato-Archivista in forza all'Archivio della Casa di Pietà, -prova ne siano le lettere Sp-S(PEDALE) della P(IETA')- atto unicamente all'assegnazione ordinata di un riferimento per poter, tra tanti, rapidamente consultare al bisogno e senza errori i documenti-compreso il Santino-relativi a Martino.
 
Stampato su carta realizzata secondo l'innovativo impasto di fibre di legno dalla tipica consistenza compatta utilizzata per i Santini in tutta Europa durante tutto il secolo XIX ed i primi inizi del 1900, fu il primo documento "personale" del piccolo Martino, sopra al quale, come segnalato dall'evidente residuo di carta ancora presente e visibile superiormente a sinistra, venne verosimilmente accatastata una pesante pila di numerosi altri documenti cartacei.
 
Il primo di questi, appunto quello che lasciò traccia in alto alla sx del Santino, forse per dell'umidità presente tra le carte dell'Archivio, è la chiave della nostra ricerca appassionante alla scoperta delle origini familiari del nostro Martino: è su questo foglio mancante che, grazie alle tracce involontariamente trasferite dall'inchiostro sul Santino sottostante- e dalla stessa ripartizione in righe parallele tracciata visibilmente a mano-, che, pur nell'estrema difficoltà dell'interpretazione completa possiamo ancora oggi leggere parole-chiave come: infante....alle ore....
che inquivocabilmente testimoniano il doloroso momento dell'affidamento di Martino all'Orfanatrofio Veneziano.
 
Resta tuttavia ancora da risolvere l'enigma più affascinante, vero fulcro di questa lunga serie di ragionate ipotesi: chi fù la Mamma di Martino ?
 
Quali furono le sue fattezze e quale il suo accento ?
 
Parlò forse anche lei con l'elegante cadenza Veneziana con la quale parlano oggi Diego, il suo affettuoso pronipote, ed i suoi bellissimi bambini ?
 
Domande queste estremamente difficili cui dare una risposta tout court ma ho promesso a Diego tutto il mio aiuto per la sua appassionata e struggente ricerca e sono certa che, con un pò di fortuna e soprattutto con l'aiuto di qualche persona sensibile che leggerà questo mio appello, riusciremo a ricostruire le origini di Martino, il suo amato bisnonno, da tutti i pronipoti ancora oggi affettuosamente ricordato come il Nonno Martìn..... e oramai divenuto un pò anche il Nonno di tutti noi Italiani.

Paola Galanzi

Fonti: Pierpaolo Limone-L'accoglienza del bambino nella città globale
              La Pietà a Venezia. Arte, musica e cura dell'infanzia fra tradizione ed innovazione", Venezia, 2009
 




 



sabato 19 gennaio 2013

Iconofilia e culto Mariano: la celebrazione di Miracoli ed Apparizioni Mariane nei Santini: la perfetta alchimìa tra fonti orali e iconografia si trasforma in Storia al servizio dei più poveri e degli analfabeti

 
La Madonna del Piano alias Maria SS.della Fontenova e la prima sua Apparizione alla pastorella Jacopina il giorno 9 Giugno 1573 in Monsummano (Pistoia).
Bellissimo Santino in cromolitografia degli ultimi anni del secolo XIX
L'Editore è purtroppo non conosciuto
 
Collezione privata Galanzi
 
 
La Storia, ed in particolar modo l'Archeologia, nell'attenta indagine e nella rigorosa ricostruzione, a ritroso nel Tempo, delle fitte trame del Passato e delle sue tracce, attingono i dati da molteplici fonti: dalla letteratura alla numismatica a una miriade eterogenea di fonti materiali e, laddove queste risultassero essere carenti e limitate o, peggio ancora, inesistenti, si affidano alla tradizione orale, la più antica ed assai efficace forma di comunicazione di massa che sin dai tempi più remoti permise la rapida e massiva diffusione di eventi degni di memoria collettiva.
 
L'affascinante iter divulgativo di episodi o fatti salienti di cui le comunità, e comunque il numero maggiore di persone, dovevano essere informate, iniziò oltre due millenni fà con gli ex voto, originariamente scene tragiche per lo più di naufragi o di spaventosi incendi, approssimativamente raffigurate su tavolette lignee, che i miracolati indossavano per scampato pericolo appesi al collo, con duplice funzione: da un lato quella prettamente religiosa di ringraziamento-il voto, appunto-alle divinità benigne provvidenzialmente intervenute e dall'altro quella a carattere marcatamente sociale, atta a catalizzare la pubblica pìetas per la grave disgrazia subita e inevitabilmente a suscitare negli astanti sentimenti di compassione e di solidarietà.
 
 
 
EX VOTO
 
Tavoletta votiva lignea offerta alla Madonna detta della Salvezza per ringraziamento per lo scampato pericolo in un naufragio
Chiesa della Madonna omonima di Vigo di Cadore (Belluno)
Anno 1795
 
 
Gli attori in tali circostanze furono principalmente mercanti, profondi conoscitori di rotte e dei venti, cui il Fato avverso aveva fatto perdere ogni bene posseduto e fonte unica di sussistenza, risparmiati tuttavia nel Bene supremo da Dei compassionevoli e generosi che pubblicamente, tramite appunto l'ostensione dell'ex voto, venivano così ringraziati e solennizzati.
 
Successori ed eredi indiscussi degli ex voto suddetti, i Santini, con specifico riferimento a quelli commemorativi di Apparizioni della Beata Vergine Maria e di eventi prodigiosi ad Ella direttamente collegati, divennero così, sin dalle prime xilografie stampate su carta del secolo XIV, il più immediato e potente mezzo di catechesi per immagini adottato dalla Chiesa a servizio dei più poveri, totalmente analfabeti.
 
L'Immagine devozionale in xilografia stampata su carta e colorata a mano più antica conosciuta nel nostro Paese-ed una tra le più antiche in assoluto in tutta Europa- risale al periodo tra la fine del secolo XIV ed i primi inizi del successivo e celebra la Madonna del Fuoco, indulgente Protettrice di Forlì, miracolosamente scampata nell'anno 1425 ad un rogo di straordinarie proporzioni e sin da allora custodita ed esposta alla devozione popolare nel Duomo della Città.
 
 
La Madonna del Fuoco di Forlì
 
La prodigiosa Immagine devozionale in xilografia su carta acquarellata a mano, miracolosamente scampata ad un incendio nell'anno 1425
 
 
Similmente, l'evento prodigioso tramandato a distanza di circa tre secoli dal Santino cromolitografico protagonista dell'odierno articolo, riporta le lancette del tempo indietro all'anno 1573, in un -allora- piccolo e insalubre centro del Granducato di Toscana nei pressi di Pistoia: Monsummano.
 
Dal carattere aspro e ingeneroso a causa delle malsane paludi da sempre caratterizzanti il territorio, grazie ad una grandiosa opera di risanamento promossa a seguito della Miracolosa Apparizione dalla munifica Signoria Medicea, Monsummano -oggi nota come Monsummano Terme- poté disporre infine di porzioni di terre bonificate destinate al pascolo di greggi ed armenti.
 
Fu così che i suoi abitanti, fondamentalmente poveri pastori e contadini senza alcuna istruzione, iniziarono la transumanza delle greggi, scendendo dal Castello-il piccolo, originario nucleo abitativo della Città alta- a valle.
 
Tra essi, che dal pascolo traevano modesto ed unico sostentamento, vi era la pastorella Jacopina Mariotti, pia fanciulla dal carattere mite e riservato, che si tramanda come in un caldo pomeriggio del 9 di Giugno dell'anno suddetto, concedendosi una breve pausa dal faticoso lavoro, dedicò le sue preghiere alla Santa Vergine dipinta a fresco entro una piccola edicola votiva posta lungo la strada.
A preghiera conclusa Jacopina si accorge però di aver smarrito il suo piccolo gregge e, piangente, si rivolge di nuovo alla Madonna invocandone accoratamente l'aiuto per ritrovarle. 
 
 
La bella storia delle Apparizioni e dei prodigiosi eventi della Madonna del Piano di Monsummano detta anche Maria SS.della Fontenova
 
Il suo pianto pare avesse commosso la Madonna che, secondo una documentata tradizione, le indica dove ritrovarlo.
Inoltre le ordina di recarsi dal Rettore della Chiesa del Castello per suggerirgli, a nome suo, di costruire una Chiesa nel luogo della sua manifestazione.
 
Dopo questi fatti ha inizio il primo movimento devozionale popolare per la Madonna del Piano, che andrà man mano sempre più crescendo.
 
A distanza di due mesi appena dalla prima manifestazione, le autorità locali, interpretando la volontà popolare, decidono di costruire un Tabernacolo alla Madonna del Piano e destinano a tale scopo le numerose offerte dei pellegrini che da tutta la Valdinievole si riversano sul luogo della manifestazione.
 
Un’altra manifestazione della Madonna del Piano, e questa volta più decisiva e determinante per l’erezione del Santuario e del Movimento Mariano che ne derivano, e che si estenderà a tutta la Toscana, specialmente nel Fiorentino e in parte nel nord Italia, avvenne il 10 Giugno 1602 ed è testimoniata dal Rettore di Monsummano Alto Simone Casciani.
 
Inoltre il 7 Luglio dello stesso anno, durante la celebrazione della Messa sgorga improvvisa, dopo una lunga siccità, una fonte nova, evento attribuito dal popolo all’intercessione della Madonna del Piano a lungo da tutti invocata.
 
Da quel giorno la Madonna del Piano verrà chiamata: Madonna della Fontenova.
 
L’esplosione devozionale mariana, già notevole dopo i fatti del 9 Giugno 1573, diventa incontenibile dopo i fatti del 7 Luglio 1602, tanto da richiedere un intervento del Granduca di Toscana, Ferdinando I de’ Medici.
 
Per intervento del medesimo viene ordinato che si appaltino i lavori dell’erigendo Santuario Mariano, la cui prima pietra viene posta il 30 Dicembre 1602.
Sono presenti alla cerimonia oltre a numerosi pellegrini, l’Ordinario diocesano di Pescia circondato da numerosissimo clero; la Granduchessa Maria Cristina di Lorena, sposa di Ferdinando I de’ Medici, il principe ereditario Cosimo e la Corte Granducale.
 
Il 13 Febbraio 1607 il Granduca di Toscana approva il progetto per la costruzione dell’Osteria dei pellegrini, a servizio del Santuario.
 
L’8 Giugno 1608 Cosimo de’ Medici in adempimento di un voto espresso dal padre Ferdinando I dona al Santuario una corona preziosa, finemente lavorata e cesellata, opera del “gioielliere di Galleria” Cosimo Latini che dagli esperti viene considerata il migliore e più significativo esemplare dell’arte del cesello toscano del periodo granducale.
 
Questa corona verrà posta sul capo della Madonna dal Capitolo Vaticano nel 1782.
 
 
Nel 1633 vengono ultimate anche le opere iconografiche del Santuario, iniziate fin dal 1612.
 
I migliori artisti dell’epoca granducale offrono la loro collaborazione facendo del Santuario anche la testimonianza artistica più valida e più ricca della Valdinievole.
Prestano infatti la loro opera artisti insigni come il Bronzino, Rosselli, Passignano, Pagani.
 
Giovanni Mannozzi, detto Giovanni da S.Giovanni, uno dei migliori affreschisti toscani dell’epoca granducale, ultima le 14 “Lunette” sotto il Loggiato del Santuario iniziate nel 1630, tendenti a rappresentare con i colori e il disegno l’apoteosi della Madonna della Fontenova e l’esaltazione del Santuario.
 
Uno storico pistoiese del 1662, il Salvi, ci fornisce in un suo libro una valida testimonianza dell’eccezionale affluenza dei pellegrini al Santuario della Fontenova:
 
Havendo in questo tempo la gloriosa Immagine di Nostra Signora in un tabernacolo alle falde di Monsummano...fatti infiniti miracoli, e facendone tuttavia ogni giorno, era tanto il concorso dei popoli, che in pochi giorni da diversi luoghi del Fiorentino, del Pistoiese, del Lucchese, del Pisano, del Bolognese, del Modenese, più di 150 Fraternità o Compagnie, per lor divozione, con vari e ricchissimi doni ricomparvero...tanto era il concorso dei popoli che attraversava la città di Pistoia che pareva l’Anno Santo".
 (dal sito ufficiale http://www.madonnadellafontenova.it)
 
 
La tradizionale, bellissima Storia dell'origine del Santuario di questa soave Madonna dallo sguardo dolce e languido e dei fatti miracolosi nel corso dei secoli a lei attribuiti, oltre che negli importanti edifici e nei tanti monumenti al suo culto dedicati nella Valdinievole e un pò ovunque in Toscana, venne affidata sin dall'epoca ad Artisti, Pittori ed Incisori che fedelmente incisero a bulino su legno e su lastre di rame le sue delicate fattezze stampandole successivamente su carta e avviando il noto processo di diffusione del culto, spesso attraverso la raffigurazione completa dell'apparizione a Jacopina nel 1573.
 
Il bellissimo Santino in cromolitografia a corredo di questo articolo, stampato verso la fine del 1800-assai probabilmente presso una Bottega litografica locale- dalla vivace e gradevole cromìa, commemora l'evento prodigioso con immediatezza ed efficace rappresentazione.
 
In esso nessuno degli elementi salienti per il riconoscimento istantaneo dell'evento da parte dal devoto analfabeta è stato dall'Editore- purtroppo non conosciuto- trascurato: in primo piano l'Effigie della bella Madonnina con il Bambino Gesù affrescata nella piccola nicchia dell'edicola votiva e l'aggraziata figura della pastorella Jacopina raffigurata con le sue pecorelle, ritrovate grazie all'intervento della Madonna: non manca neppure il preciso e inconfondibile riferimento paesaggistico del suggestivo cocuzzolo sul quale sorse sin dall'Epoca Etrusca Monsummano Alta, con in alto a sinistra la silhouette dell'antico Castello che campeggia fiero e maestoso da 500 anni.
 
 
 
Paola Galanzi

martedì 15 gennaio 2013

17 Gennaio: Tarquinia celebra la monumentale Figura di Sant'Antonio Abate nella Mostra di Santini del Socio A.I.C.I.S. Edmondo Barcaroli con il patrocinio del CIRCOLO FILATELICO NUMISMATICO TARQUINIENSE

 
 
 
Dopo il grande e meritato successo riscosso dalla Mostra PUER NATUS EST recentemente conclusasi a Roma, continua A.I.C.I.S. il suo grande e serio impegno per la diffusione della Cultura legata alle Immagini devote grazie all'iniziativa del Socio Edmondo Barcaroli di Tarquinia, Promotore e Curatore della Mostra iconografica dedicata all'importante Figura di Sant'Antonio Abate nei Santini.
 
L'Esposizione, patrocinata dal Circolo Filatelico Numismatico Tarquiniense- di cui Edmondo Barcaroli è il Presidente- in collaborazione con A.I.C.I.S.-ASSOCIAZIONE ITALIANA CULTORI IMMAGINETTE SACRE- sarà visitabile in Tarquinia con ingresso libero presso la Sala del Circolo suddetto in via della Salute al civico 3 dal 17 Gennaio p.v. sino al 20 Gennaio con i seguenti orari :
 
Da GIOVEDI' 17 Gennaio a SABATO 19 Gennaio:
dalle h.16,30 alle h.19
 
 
DOMENICA 20 Gennaio:
MATTINO: dalle h.10 alle h. 13
POMERIGGIO: dalle h. 16 alle h.19
 

 
QUALCHE INTERESSANTE CENNO BIOGRAFICO SU SANT'ANTONIO ABATE

Sant'Antonio Abate-detto anche Sant'Antonio il Grande, Sant'Antonio d'Egitto, Sant'Antonio del Fuoco, Sant'Antonio del Deserto, Sant'Antonio l'Anacoreta - nacque in Egitto, a Coma, una località sulla riva sinistra del Nilo, intorno all'anno 250.
 
Fu un eremita tra i più rigorosi nella storia del Cristianesimo antico.

Antonio, di cui conosciamo la vita grazie alla biografia scritta dal suo discepolo Atanasio di Alessandria, fu un insigne padre del Monachesimo Cristiano e il primo degli Abati.

Malgrado appartenesse ad una famiglia piuttosto agiata, mostrò sin da giovane poco interesse per le lusinghe e per il lusso della vita mondana: alle feste ed ai banchetti infatti preferì il lavoro e la meditazione e alla morte dei genitori distribuì tutte le sue sostanze ai poveri, si ritirò nel deserto e li cominciò la sua vita di penitente.

Compiuta la sua scelta di vivere come eremita, trascorse molti anni vivendo in un'antica tomba scavata nella roccia, lottando contro le tentazioni del demonio, che molto spesso gli appariva per mostrargli quello che avrebbe potuto fare se foste rimasto nel mondo.
A volte il diavolo si mostrava sotto forma di bestia feroce - soprattutto di maiale o di cinghiale - allo scopo di spaventarlo, ma a queste provocazioni Antonio rispondeva con digiuni e penitenze di ogni genere, riuscendo sempre a trionfare.

La sua fama di anacoreta si diffuse ben presto presso i fedeli e Antonio, che voleva vivere assolutamente distaccato dal resto del mondo, fu costretto più volte a cambiare luogo di  residenza.

Intorno al 311 si recò ad Alessandria per prestare aiuto e conforto ai Cristiani perseguitati dall'imperatore Massimiliano;  si ritirò successivamente sul monte Qolzoum, sul mar Rosso, ma dovette tornare ad Alessandria poco tempo dopo per combattere l'eresia ariana, sempre più diffusa nelle zone orientali dell'Impero.


Malgrado conducesse una vita dura e piena di privazioni, Antonio fu molto longevo: la morte lo colse infatti all'età di 105 anni il 17 Gennaio del 355 nel suo eremo sul monte Qolzoum.

 
Sulla sua tomba, subito oggetto di venerazione da parte dei fedeli, furono edificati una Chiesa ed un Monastero; le sue Reliquie nel 635 furono portate a Costantinopoli e successivamente traslate in Francia tra il sec IX ed il X, dove oggi si venerano nella Chiesa di Saint Julian ad Arles.

In Francia, in quel periodo, sorse l'Ordine degli Antoniani approvato successivamente da Papa Urbano II.

I riti che si compiono ogni anno in occasione della Festa di S. Antonio sono antichissimi e legati strettamente alla vita contadina e fanno di Antonio Abate un vero e proprio Santo del Popolo.
 
 
S. Antonio Abate
Incisione a bulino su pergamena
Artista-Incisore: Theodoor van Merlen
Anversa, sec. XVII
 
Collezione privata Galanzi


Egli è considerato il Protettore per eccellenza contro le epidemie, indistintamente sia quelle che affliggono l'uomo che quelle pertinenti agli animali.
Sant'Antonio Abate è inoltre invocato come Protettore del bestiame e la sua effigie fu sin dall'antichità collocata a tal uopo sulle porte delle stalle a protezione degli armenti ivi custoditi.

Il Santo è invocato anche per scongiurare gli incendi e non a caso il suo nome è legato ad una forma di herpes nota come fuoco di Sant'Antoniofuoco sacro.
Antonio è anche considerato il Patrono del fuoco; alcuni riti attorno alla sua figura testimoniano un forte legame con le culture pre-cristiane, soprattutto quella Celtica.

E' nota infatti l'importanza che rivestiva presso i Celti il rituale legato al fuoco come elemento purificatore e beneaugurante.

Venerato nel Mondo intero e ovunque nel nostro Paese con devozione particolarmente sentita specialmente al Sud ed in particolare nella religiosissima Terra di Sicilia, Sant'Antonio Abate fu reso immortale nella sua fama di Santità dai pennelli di illustri Artisti-Pittori quali il Beato Angelico nel secolo XV ed in Epoca Barocca il celebre Fiammingo Jan Brueghel il Vecchio che ne celebrarono la bellissima, tipica ed inconfondibile iconografia.

 
 
GLI ATTRIBUTI ICONOGRAFICI DI SANT'ANTONIO ABATE (wikipedia)
 
  • CROCE A T (TAU)- spesso di colore rosso, sulle vesti o all'apice del bastone.
  • BASTONE- se raffigurato in abiti monacali, spesso con una campanella.
  • PASTORALE-se raffigurato in abiti da abate, talora con una campanella.
  • MITRIA- se raffigurato in abiti abaziali, sulla testa, ai piedi o sorretta da angeli.
  • CAMPANELLA- in mano o legata al bastone, talora più di una.
  • LIBRO DELLE SACRE SCRITTURE- in mano, generalmente aperto, talvolta ai piedi o sostenuto da angeli.
  • FUOCO- sul libro o ai piedi.
  • MAIALE- ai piedi, talora altri animali, come il CINGHIALE
  • SERPENTE- schiacciato dal piede.
  • CORONA DEL S. ROSARIO- in mano o pendente dal bastone.
  • AQUILA -ai piedi.
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  • La Chiesa lo celebra solennemente il giorno 17 di Gennaio.
     
     
    All'Amico e Socio A.I.C.I.S. Edmondo Barcaroli il mio sincero apprezzamento per la sua Mostra dedicata a questo grande Santo Cristiano e gli Auguri più sinceri di un grande e meritato successo !
    


    Paola Galanzi